dissemination: public event
La trilogia VR di Gina Kim costituisce uno degli esempi più interessanti del potere documentario, testimoniale e di denuncia del nuovo medium. Un percorso feroce e intimo che mira a decostruire una duplice forma di potere e sopruso (degli uomini sulle donne e di un popolo su un altro), che si perpetra nei villaggi senza identità in cui abitano le sex workers destinate alle basi militari Americane che occupano una vasta parte del territorio sud-coreano sin dagli anni ’50. Tre cortometraggi immersivi raccontano violenze e abusi catapultando l’user in medias res, incontrando gli eventi nella loro immediatezza, senza l’ausilio di informazioni o sintesi narrative pregresse.
BLOODLESS di Gina Kim
Corea del Sud, USA 2017
12’, VR 3 DOF
Nel primo cortometraggio, Bloodless (2017), seguiamo l’ultimo giorno di vita di Yun Keum Yi, brutalmente assassinata nel 1992 da un soldato americano la notte del 28 ottobre 1992 nel villaggio residenziale di Dong- ducheon. Ci troviamo a pedinare i suoi passi tra le luci al neon di bar e club notturni, in un non luogo avulso dalla Storia ma non dalle sue strategie di potere. Dopo un’ellissi, Gina Kim ci riporta in una spoglia stanza di motel, in cui uno corpo infagottato dalle lenzuola incomincia a spargere sangue. Sono le tracce sconvolgenti dell’omicidio, di cui siamo testimoni a posteriori da un punto di vista impossibile. Erede non solo delle strategie di identificazione e testimonianza tipiche del cinema documentario, ma anche dell’immersive journalism, Bloodless ci porta al centro di un evento reso invisibile dalle strategie del potere patriarcale e coloniale. Come è altrettanto invisibile e irraccontabile lo spazio urbano posticcio creato per l’asservimento sessuale dell’esercito americano. Gina Kim lo inquadra da un punto di vista intimo e personale, proprio di uno spettatore libero di conoscere ed esplorare la realtà secondo tutte le direzioni rese possibili dai 3 gradi di libertà. A sostenere questa ricerca, c’è la necessità di tornare ai luoghi reali del delitto, usando i media immersivi come ricostruzione forense degli eventi che la Storia ufficiale, scritta dai dominanti, vuole sopprimere da ogni racconto. (Giancarlo Grossi)
TEARLESS di Gina Kim
Corea del Sud, USA 2021
12’, VR 3 DOF
Continua l’esplorazione dei villaggi senza storia costruiti fuori dalle basi militari Americane, abitati da sex workers destinate dal governo Sudcoreano ai piaceri dell’esercito statunitense. Questa volta l’attenzione di Gina Kim si focalizza su un altro non luogo, la “Monkey House”, ospedale e centro di detenzione dove sono recluse le “comfort women” affette da malattie sessualmente trasmissibili, chiamato così proprio a causa delle urla delle detenute desiderose di fuggire. Uno spazio senza intimità e cura, pensato solo per isolare corpi ritenuti non più confortevoli ma pericolosi. Ancora una volta, la VR di Gina Kim sfida le leggi sociali e politiche che regolano il visibile e l’invisibile, penetrando nelle architetture create dal dominio patriarcale e coloniale per trasformare l’user immersivo in testimone dei loro inferni terrestri. Se negli anni ’70 il pericolo delle malattie sessualmente trasmissibili era stato gestito attraverso lo stigma, costringendo le sex workers a indossare i risultati dei test medici, la detenzione come cura si rivela un dispositivo ancora più pervasivo e potenzialmente mortale (sia per le cure somministrate con ampie dosi di penicillina, che per l’impossibilità e i pericoli legati alla fuga). Attraverso l’head-mounted display, diventa possibile rivivere l’organizzazione quotidiana del tempo in spazi finalizzati alla più radicale sottrazione di umanità: docce comuni, letti da bunker, refettori. La ricostruzione si basa infatti su un lavoro di ricerca documentato, basato sulle testimonianze dirette delle donne imprigionate. Nell’indagine archeologica di Gina Kim, diventa così possibile scoprire le radici della feticizzazione e del dominio esercitato dall’immaginario statunitense sui corpi delle donne asiatiche. Un’idea rigorosa e sovversiva della VR, capace di denunciare i crimini della Storia attraverso un percorso intimo e sconvolgente. (Giancarlo Grossi)
COMFORTLESS di Gina Kim
Sud Corea, USA, 2023
VR 3 DOF, 12’
Ultimo capitolo della trilogia immersiva di Gina Kim. Al giorno d’oggi, gli agglomerati urbani edificati in Sud Corea alle porte delle basi militari Americane per ospitare le “comfort women” sono diventati spazi abbandonati e in disuso. Durante la produzione del documentario immersivo, la Corte Suprema Sudcoreana ha emesso un verdetto che riconosce la responsabilità del governo Sudcoreano nel giustificare e favorire la prostituzione, usando ufficialmente l’espressione “comfort women”. Il capitolo finale gioca sui richiami tra presente e passato, attraversando American Town, una “città del piacere” ormai in fase di smantellamento. Il documentario stesso è una corsa contro il tempo per non perdere le ultime tracce dei crimini del passato e portarle definitivamente alla luce. In una serie di tableaux vivants immersivi, analoghi a quelli delle opere precedenti, scopriamo come il non luogo sia ancora infestato dalla presenza spettrale delle sex workers, i cui corpi compaiono all’interno degli specchi disseminati negli interni diroccati. Analogamente, possiamo ancora ascoltare fuori campo le voci predatorie dei clienti espressione di fantasie assoggettanti che forse non sono mai andate via. In Comfortless Gina Kim lavora proprio sull’equilibrio complesso tra riconoscimento e straniamento, facendone la cifra di ogni indagine su un passato irrisolto. Con una domanda finale rivolta allo spettatore: in tutta questa storia, chi sono io?
Testi di Giancarlo Grossi.
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La trilogia VR di Gina Kim costituisce uno degli esempi più interessanti del potere documentario, testimoniale e di denuncia del nuovo medium. Un percorso feroce e intimo che mira a decostruire una duplice forma di potere e sopruso (degli uomini sulle donne e di un popolo su un altro), che si perpetra nei villaggi senza identità in cui abitano le sex workers destinate alle basi militari Americane che occupano una vasta parte del territorio sud-coreano sin dagli anni ’50. Tre cortometraggi immersivi raccontano violenze e abusi catapultando l’user in medias res, incontrando gli eventi nella loro immediatezza, senza l’ausilio di informazioni o sintesi narrative pregresse.
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